di Piera Lepore – Orientatrice e tutor del Consorzio Abele Lavoro

Anche quest’anno, il Consorzio Sociale Abele Lavoro ha partecipato al Workshop sull’Impresa Sociale di Iris Network, tenutosi a Trento il 10 e 11 ottobre 2022.
L’evento arrivato quest’anno alla sua XX edizione, era incentrato sugli scenari e sugli sviluppi futuri delle imprese sociali italiane.

Alla presenza di importanti studiosi del tema, i lavori del Workshop si sono focalizzati sul comprendere cosa siano oggi le imprese sociali e quali sfide le attendano nell’immediato futuro.
Le imprese sociali si caratterizzano per la produzione di valore sociale e di esternalità positive che permettono lo sviluppo sostenibile dei territori dove risiedono. Tale produzione di Valore è favorita da risorse specifiche delle IS, spesso intangibili e non considerate dal mercato convenzionale: risorse “inaccessibili” (G. Marocchi, 2020) quali ad esempio il capitale umano di lavoratori svantaggiati, le reti di relazioni territoriali, il coinvolgimento diretto e la partecipazione degli utenti dei beni/servizi. E l’economia circolare creata da tali risorse come output specifico delle imprese sociali.

È nella sua specificità, nella sua differenza dalle imprese convenzionali, che l’impresa sociale deve ritrovare sé stessa e il suo protagonismo per “non essere accorpata nel calderone privo di confini delle imprese socialmente responsabili”. Così Carlo Borzaga sostiene, con una lettera di saluto ai partecipanti del Workshop, di ricercare ed investire a fondo sulle specificità proprie e caratterizzanti le IS, perché esse rappresentano la “forma organizzativa più compiuta di società civile attiva”.
Partendo dall’approccio allo sviluppo umano di Amartya Sen, Marco Musella e la Prof.ssa Enrica Chiappero Martinetti, introducono i lavori del Workshop, delineando le economie create dalle IS come ambienti dove è possibile creare processi di attivazione, per le persone e le comunità. Il Capability Approach è il punto di partenza della specificità da rinnovare delle Imprese “Seniane”, le quali non ricercano solo il profitto ma l’empowerment collettivo di tutti gli stakeholders coinvolti.
I lavoratori delle imprese sociali, anch’essi come gli utenti dei loro servizi, devono essere protagonisti, seguendo l’approccio allo sviluppo umano, e il metodo dell’inserimento lavorativo della cooperazione sociale è il fulcro di tale approccio capacitante: grazie al tutoraggio e all’accompagnamento dei lavoratori svantaggiati in impresa , si compie quel processo trasformativo e di reale crescita della persona fragile, caratterizzante e specifico delle IS.
Ci sono però oggi dei fenomeni che limitano tali processi di sviluppo, e che ledono la motivazione interna alle IS: stipendi troppo bassi e poco competitivi che producono “lavoratori poveri” nelle professioni sociali; crisi della partecipazione democratica interna; il senso della L.381/91 contro il principio del “massimo ribasso” nelle gare di appalto degli enti pubblici locali.
Tali fenomeni , sebbene le IS siano nei principi e nella pratica, spazi di democrazia e inclusione, portano tali imprese a diventare luoghi di lavoro di transito, per i lavoratori che non investono più in esse e che portano le loro competenze ed expertise, altrove, se non motivati da retribuzioni dignitose e prospettive di crescita professionale.
Ma allora quali sono i semi di futuro da piantare per far crescere le imprese sociali?
Se le IS si caratterizzano , come suggerisce Carlo Borzaga, per essere a partecipazione multi-stakeholder , e quindi con l’obiettivo di coinvolgere i portatori di interesse, esse devono innanzitutto ritornare a praticare le loro comunità di appartenenza, ad aprirsi, a non isolarsi. E dunque anche intessendo e rinnovando le alleanze con, ad esempio, gli enti locali.
La coprogettazione, seppur molto criticata dai partecipanti in sala, è stata più volte citata, come strumento per favorire il dialogo, la formazione comune e la contaminazione, tra IS e PA, per sostenere la nascita di patti di collaborazione innovativi e a gestione condivisa.
E per quanto riguarda il suo interno, per ritrovare la motivazione e l’aderenza ai valori cooperativi, l’IS per attrarre capitale umano di qualità, l’expertise di cui ha bisogno, deve tornare a praticare l’umanesimo: la persona (e quindi il lavoratore) al centro.
Tale principio “seniano”  di sviluppo umano, sostiene l’importanza della formazione life long e il “metter testa” sui percorsi di crescita professionale dei dipendenti, e non in ultimo, dello sguardo verso il ricambio generazionale delle dirigenze.
La sessione parallela, sulla sfida della transizione demografica, e dunque dell’ingresso dei giovani nel lavoro cooperativo, ha raccolto diversi contributi di giovani imprenditori e ricercatori sociali, e analizzato indicatori e leve per la partecipazione attiva giovanile in Italia.
Se il volontariato, il servizio civile e l’Università, sono luoghi di formazione e “palestre” per la vita sociale da protagonisti, come si può favorire l’ingresso e la scelta dell’impresa sociale per le nuove generazioni?
I cooperatori storici, presenti al Workshop, lamentano di non trovare giovani che sposino la causa e i valori delle IS, ma i dati ci dicono che i giovani sono motivati e interessati ad impegnarsi per la società (Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo – Università Cattolica Sacro Cuore, Milano).

Il problema, secondo i giovani imprenditori presenti alla sessione, è che una volta entrati nelle IS, i giovani fatichino a trovare motivazione nel restare ed investire per la loro futura crescita professionale.
I loro bisogni di socialità, di trovare significato e senso nel lavoro sociale, nell’incontrare luoghi inclusivi e accoglienti, dove poter realizzare le loro idee innovative, non trovano spazio nelle odierne IS, spesso troppo verticistiche e a conduzione tradizionale.

Scarsa comunicazione intergenerazionale, tra l’alto e il basso, isolamento del giovane (un marziano da attrarre ma poi nei fatti non incluso nella squadra dei “vecchi” colleghi) e poca attitudine della dirigenza al “lasciar spazio” al ricambio generazionale.
L’esempio della community lab ReMade di Napoli, a dirigenza giovane, ci racconta non un salto nel vuoto di giovani imprenditori improvvisati, ma di un solido sostegno e accompagnamento da parte degli storici cooperatori riuniti nella Fondazione di Comunità San Gennaro: fondamentale l’operazione di mentorship, che ha dato gambe a idee innovative, con la trasmissione del sapere gestionale cooperativo a giovani professionisti motivati.
Per concludere, le imprese sociali che scommettono nel ricambio generazionale, accompagnando le nuove leve a crescere dentro le responsabilità, e che investono in innovazione e digitale, saranno quelle che sapranno cogliere e coltivare i semi per il futuro, garantendo stabilità e crescita dei bilanci, e nel contempo coltiveranno il sogno.

Alla Danilo Dolci, “ciascuno cresce solo se sognato”.

 

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