Il senso del lavoro
È strano parlare di lavoro ad agosto, in questo mese storicamente dedicato alle ferie, ma è anche vero che in questi giorni meno pressati dal fare rimane un po’ di tempo per pensare. Allora ne approfitto.
Nello specifico, il tema su cui vorrei si avviasse un confronto è il seguente: si è ampiamente diffusa nei media una narrazione che racconta il lavoro molto spesso in termini negativi: il lavoro come sfruttamento, caporalato, luogo di diritti negati, di insicurezza e di morti bianche, assenza di tutela, lavoro nero, ecc.; e poi ancora il lavoro come fatica, mancanza di senso, spersonalizzazione e così via. Ai giovani si dice che i primi contatti con il mondo del lavoro, durante i PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), sono disastrosi, non danno nulla ed espongono a rischi. Certamente tutto ciò nasce da situazioni reali e altamente problematiche, che è giusto siano denunciate e perseguite; ma ora quello che vorrei chiedermi è come si possa pensare che i giovani debbano darsi da fare per il proprio futuro lavorativo se la narrazione che ne viene data è solo questa. Chi mai è incentivato ad investire energie per entrare a far parte di un mondo del lavoro come quello sopra descritto? Forse, prima di incolpare il reddito di cittadinanza, se le persone sembrano poco interessate al lavoro, dobbiamo chiederci se a questo contribuisca in primo luogo un’immagine diffusamente negativa del lavoro.
E quindi: è possibile proporre una diversa narrazione del lavoro che non neghi o minimizzi i problemi esistenti, ma che al tempo stesso riesca a comunicare quanto il lavoro possa essere un momento fondamentale per trovare la propria l’autonomia e per essere parte di un processo di costruzione collettiva di valore sociale? Ed è da qui che vorrei ripartire: dall’idea di autonomia, di consapevolezza e capacità che il lavoro ti dà. La parola autonomia ti riporta alle molte competenze necessarie che ti devi costruire nella giovane età. Sapere fare e riconoscere quello che si ha, quello che si è ottenuto e si potrà ottenere. Essere autonomi vuol dire sapere gestire il quotidiano e mettere insieme più realtà, dal lavoro alla famiglia, le incombenze di casa, le amicizie, gli hobby, parliamo di un sistema complesso che richiede metodo. Il compito degli adulti e delle istituzioni è di mettere i giovani nelle condizioni di poterlo fare. Interessante permettere alle coppie di potere accedere ai mutui per la prima casa anche con contratti a tempi determinati. La continuità occupazionale, tuttavia, rimane una questione che va affrontata.
Il lavoro deve essere un’estensione della tua personalità, ti deve assomigliare; quindi, è un orizzonte che va coltivato e successivamente realizzato. Non è un’occasione che ti capita e che devi prendere ad ogni costo, ma è il frutto della consapevolezza di sé. Non è semplice capire al volo qual è il lavoro che fa per sé, va esplorato e sperimentato.
A sua volta, il lavoro ti costruisce, ti plasma, è un sistema organizzato fatto di regole e gerarchie, simile a quello che può essere un gioco di squadra, dove ognuno ricopre un ruolo. Il lavoro è un ambiente, fatto di relazioni, di spazi, d’incontri, un sistema che ti dà delle conferme e ti definisce.
Il tempo lavoro, occupa buona parte del nostro tempo. Il lavoro è dignità, ti permette di camminare a testa alta davanti ai tuoi figli raccontandogli quello che fai, anche quando si tratta di lavori umili, ma fondamentali per la collettività. Non è un’identità esclusiva, o perlomeno non dovrebbe esserlo, ma ne fa parte.
Il lavoro è fatica ed è per questo che viene retribuito. È un’affermazione banale, ma se non ci fosse la fatica non avrebbe senso la retribuzione. Il lavoro è legato a risultati, ad obiettivi da raggiungere, a ritmi e prestazioni. E di qui arriviamo al reddito: quello che va monitorato e governato dalla politica e dalle aziende è il potere d’acquisto che va garantito e che permetta di arrivare a fine mese. Il rapporto tempo lavoro, fatica e reddito devono essere in equilibrio e permettere gli standard di qualità promossi dalla nostra società. Il salario orario minimo in questo senso offrirebbe un parametro universale di riferimento per regolare i contratti, gli stipendi, le gare d’appalto, ecc.
È difficile parlare ad altri di lavoro se non si riparte dal proprio sentire, dalla propria esperienza, come testimoni che sanno guardare oltre le prime pagine e i titoli roboanti dei quotidiani, oltre le ideologie di parte. Abbiamo la responsabilità di una narrazione possibile del lavoro di oggi e per domani, esercitiamola. La discussione è aperta!