Tirocini: il valore del tutoraggio (2/2)

Piera Lepore

Piera Lepore

Orientatrice e tutor

Opera presso il Consorzio Abele Lavoro dal 2014. Inizia come tirocinante nell’ambito di un progetto di ricerca sociale della Fondazione Giovanni Goria per lo sviluppo di business idea nell’impresa sociale. Il suo percorso continua come orientatrice e tutor nell’ambito dei progetti di politica attiva del lavoro, con un focus specifico sui giovani.

Gabriella Pizzoli

Gabriella Pizzoli

Orientatice e tutor

Opera presso il Consorzio Abele Lavoro dal 2004. È una delle nostre senior e si occupa di orientamento al lavoro e tutoraggio, curando tutti i progetti relativi all’Area delle Dipendenze. Da sempre impegnata in percorsi di inclusione sociale, è un punto di riferimento nelle attività volte al riconoscimento delle competenze professionali e trasversali.

Questo articolo prosegue il precedente contributo di Piera Lepore e Gabriella Pizzoli che aveva ripercorso la storia del tutoraggio, evidenziandone il valore in termini di sostegno alla persona inserita; la fase attuale si caratterizza invece per alcune evoluzioni che stanno depotenziando questo strumento.


La stagione dell’inserimento lavorativo

Nel precedente articolo si sono ripercorsi i primi passi delle politiche del lavoro e l’affermarsi di percorsi tesi a favorire l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, giungendo sino agli anni Novanta, un periodo particolarmente interessante da questo punto di vista. Infatti, oltre alla formalizzazione dei percorsi di tirocinio e la diffusione dello strumento del tutoraggio, sono gli anni in cui la cooperazione sociale si afferma definitivamente e diventa partner importante delle pubbliche amministrazioni, in particolar modo a Torino e in Piemonte, dove si sperimentano regole di affidamento dei servizi da parte di pubbliche amministrazioni (nel verde, nelle pulizie delle scuole, nella raccolta di rifiuti e in molti altri settori) che richiedono l’assunzione di persone svantaggiate prevedendo specifici progetti di inserimento. L’inserimento lavorativo in cooperativa sociale rappresenta talvolta l’esito – con il conseguimento dell’autonomia e dell’indipendenza economica – di percorsi di recupero sociali e sociosanitari. In questo articolo non si intende approfondire questo tema, ma semplicemente riconoscere il ruolo rivoluzionario della cooperazione sociale di inserimento lavorativo nel fare da apripista nell’accoglienza di soggetti fragili, favorendo così “l’affermazione del diritto al lavoro per ogni persona, indipendentemente dalle sue attitudini e dalla sua condizione socio-professionale ogni volta che sussistano, anche solo potenzialmente, sufficienti “capacità residue…l’obiettivo dell’inserimento lavorativo, per quanto riguarda le politiche sociali, cessa di costituire un problema di rilevanza socio-assistenziale per proporsi invece come questione che si situa ad ogni effetto nella politica del lavoro e, quindi, nella politica di impresa”. (Articolo di Felice Scalvini in Impresa Sociale n. 21 maggio/giugno 1995).
A partire da quegli anni, sebbene in talune occasioni – come nel sopra citato articolo di Scalvini – i percorsi di tirocinio e di inserimento in cooperativa sociale siano stati presentati come alternativi, nei fatti le cooperative sociali hanno (sempre più) spesso utilizzato il tirocinio come primo passaggio negli inserimenti lavorativi delle persone svantaggiate; anche le imprese profit lo hanno diffusamente usato, a partire dagli anni’90 soprattutto per formare i giovani apprendisti.

Arriva la crisi

La florida stagione di inserimenti lavorativi degli anni Novanta lasciò il passo, nel primo decennio del nuovo secolo, ad una profonda crisi economica, che ancora oggi fa pagare il conto tutto a scapito della capacità delle imprese di favorire l’occupazione in generale. Ed in particolare sono i soggetti svantaggiati la categoria di disoccupati che vede negli anni diminuire le possibilità di inserimento e stabilizzazione lavorative. Il problema che qui si intende sottolineare è che, a fronte di tali difficoltà, paradossalmente le misure volte a favorire l’inserimento lavorativo non sono state potenziate ma si sono concentrate su chi ha maggiori possibilità di successo; e, in specifico, si evidenzia come lo strumento del tirocinio sia stato negli ultimi vent’anni impoverito relativamente al complesso di azioni di sostegno all’affiancamento in azienda – quelle qui indicate come tutoraggio – con conseguenti ricadute sui soggetti beneficiari di tali politiche.

Viene così ignorato il dato di esperienza accumulato negli scorsi anni e gli esiti di alcune azioni di politica attiva del lavoro dove ancora il tutoraggio rimane un aspetto centrale del percorso di tirocinio e che ci permettono di affermare quanto sia rilevante che le persone, svantaggiate o meno, possano contare su una figura che li orienta e li sostiene nell’inserimento. Il tirocinio permette da un lato all’azienda di conoscere un nuovo potenziale lavoratore da inserire in organico e dall’altro lato alla persona disoccupata di “farsi conoscere in azienda” attraverso l’apprendimento di una nuova mansione professionale.

Questo non deve farci ignorare che il tirocinio, nelle sue versioni peggiori, sia stato anche contestato perché facilmente soggetto all’uso improprio da parte di alcune aziende: il blog La Repubblica degli Stagisti, è solo un esempio dei racconti sulla base dei quali lo strumento viene contestato. Il rimborso del tirocinio troppo esiguo e privato della dignità dello “stipendio”, l’apparente facilità con la quale è possibile l’interruzione del progetto sia da parte dell’azienda che da parte del tirocinante – pure se tale circostanza comunque prevede la verifica dell’ente promotore, attraverso motivazioni scritte dell’una e dall’altra parte – l’assenza di oneri previdenziali, sono elementi che ne hanno in alcuni casi favorito l’abuso da parte del mondo imprenditoriale; ma questo non toglie che un tirocinio adeguatamente sostenuto da azioni di tutoraggio vada considerato uno strumento efficace per la sua capacità di aumentare gli esiti occupazionali nel corso del tempo. Tra l’altro, per rimarcare l’importanza di un tirocinio associato ad un’adeguata azione di tutoraggio, tra le valenze di quest’ultimo vi è anche il monitorare i possibili abusi da parte delle aziende ospitanti.

Un nuovo modo di lavorare. Peggiore del precedente

Il tutor, da qualche anno a questa parte, è diventato il case manager nel linguaggio tecnico degli addetti ai lavori. Tale figura negli anni ha avuto diverse denominazioni (operatore della mediazione al lavoro, monitore, tutor…). Questi cambiamenti semantici spesso non sono stati neutri, corrispondendo ad un cambiamento nel ruolo degli operatori dell’inserimento lavorativo.

Il case manager è responsabile del percorso di orientamento al lavoro, ossia di favorire l’apprendimento di nozioni di ricerca attiva di opportunità per la persona, la quale è invitata sempre più ad attivarsi e ad essere mobile sul mercato del lavoro. L’orientamento al lavoro è una fase del progetto individuale, importante per delineare i desideri della persona inserita e competenze, da mettere in campo nel momento della ricerca di opportunità di inserimento lavorativo. A seguito dei colloqui di orientamento al lavoro, il case manager ricerca aziende interessate ad avviare discorsi di inserimento lavorativo per il suo utente. La fase di orientamento si conclude dunque, a seconda dei casi, o con l’assenza di opportunità di inserimento o, auspicabilmente, con l’avvio di un progetto di inserimento lavorativo tramite tirocinio o, nel migliore dei casi, con assunzione diretta in azienda.

Oltre al lavoro di relazione con utenti dei progetti e aziende, il case manager compila molti registri, carica dati sui portali web dagli enti istituzionali finanziatori delle politiche, assicura un’azione continua di lettura e rilettura della corretta imputazione di dati, monitora ore e andamento economico dei progetti. Questa parte di lavoro burocratico è spesso molto gravoso e rischia di assorbire le ore da dedicare alla relazione con il proprio tirocinante, tutto a scapito della qualità del tutoraggio, più sullo sfondo nei nuovi progetti di politica attiva. In altre parole, il case manager non ha il tutoraggio tra le proprie occupazioni prevalenti, vede le proprie ore assorbite tra matching e oneri burocratici e ha sempre meno tempo da dedicare all’affiancamento della persona.

Meno ore di tutoraggio riconosciute economicamente e criteri sempre più stringenti di valutazione delle agenzia, legate al risultato assuntivo finale, a fronte di un mercato del lavoro che assorbe pochissimo le persone fragili; più burocrazia che relazione, impoveriscono l’azione di tutoraggio e l’esito finale: in questo modo si è depotenziata la relazione tra persona e tutor, che un tempo fu rilevante per il successo dell’inserimento in azienda, soprattutto per persone svantaggiate. Il tutoraggio dei progetti di inserimento lavorativo oggi è di fatto pensato per “chi è pronto al lavoro”, per i disoccupati senza svantaggio alle spalle.  

Ultimo elemento fondamentale dei progetti di tirocinio è il compenso riconosciuto ai tirocinanti per il loro lavoro in azienda. La “borsa lavoro”, chiamata così fin dalle prime sperimentazioni di inserimento lavorativo degli anni Ottanta, è il rimborso mensile che il tirocinante riceveva o sotto forma di assegno, o sul conto corrente, da parte del soggetto promotore del progetto di inserimento lavorativo. Se nei primi progetti di politica attiva del lavoro era sempre stata finanziata, soprattutto per i lavoratori svantaggiati, all’inizio dalle USL (in particolare per le persone in carico ai CSM – Centri di salute Mentale, e ai SERT per le Tossicodipendenze) e poi anche dai progetti nazionali delle politiche sociali, oggi tale importante strumento è messo sempre più in discussione. I nuovi progetti di politica attiva del lavoro prevedono sempre più spesso l’anticipo della borsa da parte dell’azienda che ospita il tirocinio, la quale deve anticipare totalmente o in parte il rimborso spettante al tirocinante. Tale nuova impostazione ha preso via via sempre più spazio, al punto che anche i progetti per categorie svantaggiate oggi hanno perso lo strumento della borsa lavoro, anticipata dall’ente promotore o finanziatore. Per fare un esempio, in Regione Piemonte, i progetti denominati Buoni servizio al lavoro per disoccupati, disabili, giovani, svantaggiati, chiedono all’azienda ospitante di avviare il tirocinio anticipandone gli oneri potendone poi chiedere il rimborso che giunge, in caso positivo, a un anno dalla fine del progetto. Si comprenderà come tale importante modifica determini un minor appeal delle proposte di inserimento lavorativo, aggiungendo un ulteriore elemento di problematicità in un mercato del lavoro sempre più selettivo rispetto alle persone fragili.

Anche gli enti istituzionali hanno modificato il loro modus operandi: sino a qualche anno fa i finanziamenti e le verifiche dei progetti vertevano su aspetti relazionali e caratteristiche qualitative delle persone inserite, all’interno anch’essi di un lavoro di rete; oggi i controlli serrati riguardano il fatto che numeri e dati siano imputati correttamente sui registri, spersonalizzando totalmente il progetto delle caratteristiche sociali e relazionali. E non a caso gli enti finanziatori sia pubblici che privati hanno diminuito la partecipazione a tavoli di rete insieme alle Agenzie e ai servizi sociali, agendo come meri controllori dell’aspetto formale burocratico. Questo di fatto li ha allontanati dalle storie delle persone beneficiarie dei loro progetti, anche se c’è da segnalare nell’ultimo periodo un’inversione di tendenza, che fa ben sperare.

L’ultimo aspetto, ma non meno rilevante, è la crisi economica che viviamo ormai da anni e pone sia le cooperative sociali – che rimangono il principale interlocutore per l’avvio di tirocini – sia le altre aziende in una situazione di difficoltà e di pressione con la conseguenza che questi soggetti hanno sempre meno risorse da dedicare a momenti di condivisione del progetto di inserimento. I tirocinanti sono sempre più chiamati a ricoprire ruoli e spazi al pari dei dipendenti o soci-lavoratori, e laddove non pronti all’assunzione, vengono di fatti espulsi dal mercato del lavoro. Anche le cooperative sociali e le aziende attente alla responsabilità sociale, pur volendo farlo, faticano a seguire bene gli inserimenti lavorativi di persone svantaggiate per via dell’esposizione alla competizione del mercato nazionale e internazionale che determina una pressione costante su ritmi e costi di produzione, con l’effetto di diminuire gli aspetti di maggior cura della persona che differenziano questi soggetti dal resto del mondo imprenditoriale.

Conclusioni

Giunti alla fine di questo percorso, ricapitoliamo innanzitutto in cosa i progetti di tirocinio di oggi si differenziano da quelli del periodo precedente; sino alla fine degli anni Novanta vi era:

  • Più libertà di sperimentare strumenti innovativi per “occupare il tempo delle persone svantaggiate” come i laboratori nelle comunità terapeutiche (la riabilitazione attraverso il lavoro);
  • Forte lavoro di rete del tutor con i servizi sociosanitari;
  • Alto valore riconosciuto al tutor e al tutoraggio corposo in termini di ore e tempo di qualità dedicato alla persona da inserire
  • Politiche che riconoscevano il lavoro di coesione sociale svolto dalle cooperative B

Oggi i progetti delle politiche attive del lavoro vedono:

  1. Il lavoro degli operatori dell’inserimento lavorativo di terzo settore è ingabbiato in un modus operandi dettato dall’alto, stringente, burocratico, over monitorato;
  2. Non è più valorizzato il lavoro di rete con servizi ed enti finanziatori, delle Agenzie per il lavoro;
  3. Spersonalizzazione del tutoraggio: poco tempo dedicato alla relazione con la persona e forte impegno del tutor nel rispetto delle procedure burocratiche;
  4. Mercato del lavoro richiuso in sé stesso e conseguenti leggi sfavorevoli che tagliano invece che potenziare le politiche sociali e del lavoro;
  5. Minore attenzione alla cooperazione sociale di inserimento lavorativo.

Come spesso avviene, anche da punto di vista del risparmio e dell’analisi costi benefici queste pratiche sono del tutto discutibili. Si è risparmiato sui fondi per le politiche sociali e gli incentivi alle cooperative sociali, ma quanto questi tagli sono costati alla tenuta del sistema sociale e sanitario? Se un ex detenuto non viene inserito, accompagnato da un progetto lungo e ben monitorato, quanto è la percentuale di rischio che torni a delinquere perché scaricato dal mercato del lavoro?

Abbiamo cercato attraverso questi due articoli, uno sulla storia e sulla nascita delle prime forme di inserimento lavorativo, l’altro su come oggi sia radicalmente cambiato lo strumento del tirocinio e in specifico l’azione di tutoraggio, di ragionare circa una parte importante delle azioni che favoriscono l’inserimento lavorativo, evidenziando come si stia perdendo la percezione del valore che delle azioni di tutoraggio e in generale del lavoro con la persona inserita, che ovviamente richiede di essere riconosciuto da parte degli enti finanziatori. È fondamentale, inoltre, per il buon andamento dei progetti di inserimento, valorizzare al loro interno, il lavoro di rete con i servizi segnalanti, i coordinamenti dove le storie delle persone sono raccontate, dove i tutor relazionano sul processo di inserimento, e dove infine, si socializzano cadute e buoni esiti. Va infine ripensata l’utilità della borsa lavoro per incentivare le aziende all’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, non equiparabili ai disoccupati in generale, come capacità e abilità per il mondo del lavoro.

Vi è, in sintesi, un paradosso che va affrontato: mentre vi è – giustamente – sensibilità pubblica sui possibili abusi del tirocinio da parte dei soggetti ospitanti, pare mancare la minima attenzione politica e dei media sullo svuotamento di questo strumento e sulla conseguente minore opportunità per le persone inserite, soprattutto se fragili, di inserirsi sul mercato del lavoro, cosa che è forse altrettanto grave, ma correntemente praticata dai soggetti che orientano le politiche del lavoro. Magari le persone non sono sfruttate, ma non sono nemmeno aiutate ad inserirsi. E non è un grande guadagno.

Normativa

  • Accordo del 25 maggio 2017 tra il Governo, le Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano sul documento recante “Linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento”
  • Accordo del 24 gennaio 2013 tra il Governo, le Regioni e Province Autonome di Trento e Bolzano, sul documento recante “Linee-guida in materia di tirocini”
  • Legge 99 del 9 agosto 2013– Conversione in legge, con modificazioni, del Decreto legge 28 giugno 2013, n. 76, recante primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché’ in materia di Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti di conversione del d.l. 76/2013
  • Circolare ministeriale n. 35/2013 – d.l. n. 76/2013 (conversione da Legge n. 99/2013) recante “Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul Valore Aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti” – indicazioni operative per il personale ispettivo (le aziende multilocalizzate possono scegliere se applicare la disciplina regionale del luogo di svolgimento del tirocinio oppure quella della Regione presso cui si trova la sede legale)
  • Legge n. 92 del 28 giugno 2012 – Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
  • Raccomandazione del Consiglio dell’UE su un Quadro di Qualità per i Tirocini del 10 marzo 2014
  • Accordo del 5 agosto 2014 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sul documento recante “Linee guida in materia di tirocini per persone straniere residenti all’estero, modulistica allegata e ipotesi di piattaforma informatica”
  • D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro.
  • L.328/2000, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
  • Decreto interministeriale n. 142 del 25 marzo 1998 – Regolamento recante norme di attuazione dei principi e dei criteri di cui all’art. 18 della Legge 24 giugno 1997, n.196, sui tirocini formativi e di orientamento
  • Legge n. 196 del 24 giugno 1997 – Norme in materia di promozione dell’occupazione
  • LEGGE REGIONALE 14 giugno 1993, n. 28. Misure straordinarie per incentivare l’occupazione mediante la promozione e il sostegno di nuove iniziative imprenditoriali e per l’inserimento in nuovi posti di lavoro rivolti a soggetti svantaggiati.
  • Legge 381/91 “Disciplina delle cooperative sociali”.
  • DPR 309/90 – Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti.
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